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“Non abbiate paura aprire porte a Cristo” Laicamente nostro rieducarci a Bellezza Rivol. culturale per liberare (noi stessi) Dove se non da Roma può ri-partire ciò?

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La tecnica è (auto)difesa; la Politica è “andare all’attacco” (costruttivo). Che, come si sa, è la miglior “difesa”. La tecnica è assecondamento delle nostre “pulsioni”, figlie delle nostre necessità. E’, insomma - già – un modo per (cercare di) salvarsi. La Politica è ridefinizione di quelle necessità e quindi di quelle pulsioni. E dunque di scrivere – e non di “subire” - il nostro destino. Nel corso della Storia la Politica ha assunto, soprattutto, la forma (espansionistica) imperialista o, comunque, bellica. L’”orizzonte” che le nazioni, fino al culmine della loro “parabola” – non a caso – coinciso con la (consecutiva) esplosione delle due “grandi” (?) guerre, nella prima metà del Novecento, sapevano e, in qualche modo, potevano darsi era solo quello – ancora una volta, in proiezione, vedremo dopo: materiale - di assecondare – a loro volta – il proprio imprinting, la loro ragione d’essere (originale), ovvero la volontà (di im-potenza) di rafforzare loro stesse (su un piano “quantitativo”) nel confronto (scontro) con le altre. E’, questa, la traduzione (im)Politica del nazionalismo (fine a se stesso). Ma oggi che ci siamo ormai addentrati, da tempo - cominciando, a nostra volta, ancora, ad esserne cambiati - nell’Era della comunicazione; con la televisione, prima, e internet, oggi, che abbattono i muri delle distanze geografiche e culturali e preparano il terreno – nel senso, proprio, che “compattano” un’aia comune libera, finalmente, dai recinti dei rispettivi “pollai” – ad un possibile futuro di “unica nazione”: il concetto di nazione (particulare) si riduce – a sua volta – ad un livello, e ad una (mancanza di) finalità, puramente tecnica: le nazioni sono, oggi, lo strumento usando il quale organizzare un confronto planetario che non ha ancora raggiunto la (piena) maturità, e il coraggio, di avvenire al di fuori delle forme, appunto, ereditate dal Novecento. In questo quadro (pre)politico, la Politica può dunque tornare a (con)formarsi come libero, e condiviso, “momento” in cui poter definire il nostro (pacifico) futuro (insieme). Il che richiede, e passa attraverso, però, il recupero di un respiro etico e filosofico progressivamente (?) ridotto, appunto, (d)al (solo) “affinamento” della tecnica; ed è solo mediante una diffusione (capillare) della Cultura intesa, anche, come (ricerca della) consapevolezza (di sé), e (della) conseguente (piena) libertà, concepita per la prima volta nel corso della Storia proprio in quelle Roma (tra gli altri, Nerone) ed Atene (a cominciare da Socrate) che – non per caso – ospitarono (“già” allora) gli esempi più avanzati della possibile, piena espressione (del concetto) di democrazia, che ciò sarà possibile e potrà porre le basi della nostra “prossima” (?), e completamente nuova, “organizzazione” (“universale”). Cultura che significa, in primo luogo e “finalmente”, riaverci da una illusione: quella per cui il benessere (materiale), e (quindi) la tecnica (per “ri-cercarlo”), possano rappresentare il nostro fine “ultimo” (in tutti i sensi?), e il “contesto” (inculturale) al quale legare il Tempo che ci rimane. Una società che – attraverso gli stessi mezzi che potremo usare per invertire, e rilanciare, la tendenza: appunto quelli di comunicazione di massa – ha – con un’accelerazione negli ultimi trenta-quarant’anni - sostituito i sensi (?) all’Intelligenza, ponendo sul “trono” (televisivo) una bellezza (superficiale) che è la negazione stessa della Bellezza (“etica” e, a cascata, estetica), e i cui “spazi” sono esattamente quelli che abbiamo sottratto (che - ci - sono stati tolti) alla nostra capacità di “sentire”, o meglio di Ascoltar(ci). La Cultura, come mezzo per raggiungere la (propria) “armonia” (individuale e quindi sociale) alleggerendoci della materialità, è l’unica (praticabile) via - rivoluzionaria - che i (a loro volta, materialisti) propugnatori (ideologici) dell’uguaglianza non hanno (, proprio per questo?,) mai saputo concepire come tale. Cultura, dunque, come mezzo per una rivoluzione. Di libertà. E per un “comunismo” (più vicino al “sogno” contenuto nel Vangelo che ad un “ideale” – ? – (di) socialismo reale) frutto non di un (altro) totalitarismo, ma di una (possibile) tensione “unitaria” (anche religiosamente, in senso – qui sì. O no? - ”tecnico”). Dalla quale discenderebbe (discenderà), ad esempio, che la nostra ricerca (individuale) di un posto di lavoro (per “noi”) non possa coincidere con la sola ricerca di soddisfazione delle nostre (strette) necessità; bensì sarà fondata, mossa, arricchita da un principio di responsabilità (collettiva). E il compito di “coordinarlo” è, ovviamente, della Politica; il modo per rialzare la testa – in via metaforica - sostituire allo Specchio (televisivo, attuale; in cui vediamo la nostra de-formazione. In senso, anche, letterale) la trasparenza di una finestra (su Noi Stessi e, dunque, sul mondo). Quando avremo visto cosa c’è (davvero), al di là, ci verrà voglia di romperlo, quel vetro. E di far entrare finalmente un po’ di aria fresca. Senza paura, come ci esortava a farlo - in questo (stesso) senso - Giovanni Paolo II, di esserne contaminati.

Nella foto, Karol Wojtyla: “Andate (avanti)”


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